lunedì 29 settembre 2008

da La Stampa di giovedi 25.9.08


Se la Toscana ripartisse da un trebbiano

Provo a dirlo in modo diretto e senza giri di parole; il vino toscano ha perso identità, sacrificato sull’altare di una tecnologia votata al gusto internazionale. Ora, è sbagliato generalizzare, ma spesso diventa arduo ritrovare i tratti di quello che davvero ci si aspetta da un territorio che magari è stato un mito. Però in periferia, ad esempio nella Maremma grossetana, si incontrano persone come Emilio Falcione. Lui ha sei ettari vitati risalenti agli Anni 70, con uve trebbiano, sangiovese, ciliegiolo, malvasia e ansonica coltivati con la biodinamica. In cantina, la medesima filosofia, che lascia tutto in mano alla natura. Ora, quel Maremma Toscana Bianco San Martino 2004, blend di uve trebbiano (75%), malvasia e ansonica macerate sulle vinacce, m’è piaciuto proprio tanto. E sfido chiunque a dirmi se è o meno un <>. Intanto ha quel colore giallo concentrato che è già un invito; al naso note floreali si confondono intense con quelle minerali; in bocca dà un sorso pieno che si svela ricco di sensazioni. E con lo stoccafisso in umido è speciale. Ma ci stà bene anche il suo Ciliegiolo 2006, corposo e ampio. Questa Busattina sarà un’altra spina nel fianco dell’appiattimento eroico.
Paolo Massobrio