giovedì 22 gennaio 2009
articolo da Il Tirreno del 13.01.09
#Il Caiarossa che nasce a Riparbella è quasi un’opera di ingegneriaLIVORNO. Bio... Parola grossa. Specialmente per quanto riguarda il vino. Perchè, a guardar bene e a dirla tutta, il vino ‘biologico’ non esiste. Non c’è una normativa organica che dice come va fatto. Esiste però l’agricoltura biologica definita, questa sì, dai regolamenti comunitari. Ma esiste soprattutto la filosofia del bio, quella che va oltre il bollino certificatore.Ed è qui, in questa filosofia, in questo approccio etico che bisogna andare a cercare i vini biologici veri. E la Toscana ha una parte importante nella produzione dei vini bio. Da sempre, insieme al Veneto, è all’avanguardia. Il perchè ce lo ha spiegato Pierpaolo Rastelli, responsabile e coordinatore della ‘Guida ai vini d’Italia bio’ edita da Tecniche Nuove e giunta quest’anno all’edizione numero 12. Un libro interessante nel quale sono stati recensiti 713 vini e 184 aziende e nel quale proprio la Toscana fa la parte del leone, visto che i produttori censiti sono addirittura 52.«Il fatto è - ci ha spiegato Rastelli - che in Toscana esiste un clima particolarmente adatto per il vino biologico. Un clima ideale che favorisce la buona crescita delle uve e che le difende dai parassiti. L’altra condizione decisiva sta nel vitigno tipico della regione, il Sangiovese, che pur non essendo particolarmente forte, lì ha trovato le condizioni idonee. Insomma, difficilente si ammala. E l’assenza di parassiti e malatie significa che l’intervento dell’uomo viene ridotto al minimo, che tutto è più naturale». «In più - continua Rastelli - va detto che i produttori toscani hanno capito prima di altri che i grandi mercati del Nord Europa chiedevano prodotti biologici. E questa è stato un’altra buona spinta...».Per la Toscana parlano i numeri, ma parla soprattutto la qualità dei prodotti, dei vini. «Alcuni straordinari, moltissimi di alto livello - sottoline ancora Rastelli -. Certo, non è che uno il bio se lo inventa da un giorno all’altro. Il bio non è naif, stiamo attenti. Sempre più spesso dietro ogni bottiglia ci sono grandissime conoscenze e grandissime culture, con un vantaggio: che il risultato è spesso originale, diverso, ma più di ogni altro è espressione del territorio dove il vino viene prodotto». Come dire che mai come nel bio è vero che il vino si fa in vigna e non in cantina...E le zone più vocate al biologico? «Il Chianti prima di tutto, la provincia di Lucca che, pur non essendo zona di grandi vini, riesce a produrre biologico di alta qualità, ma crescono anche la Maremma con punte di eccellenza a Pitigliano e il Bolgherese».Naturalmente i grandi vini bio della nostra regione sono tutti rossi, fatta eccezione per Pachar 2006 della Fattoria Lavacchio di Montefiesole nel comune di Pontassieve (un blend di chardonnay, sauvignon e viognier) e il Venuste 2007 della Fattoruia la Schiaccionaia di Arcidosso (viognier in purezza). Eccoli i prescelti: il Bolgheri Rosso Superiore Rubino dei Greppi 2005 di Rosa Gasser, il Brunello di Montalcino Piaggione 2003 del Podere Salicutti, il Caiarossa 2005 che nasce a Riparbella (merlot, petit verdot, cabernet franc e cabernet sauvignon, sangiovese, grenache e sirah) quasi un’opera d’ingegneria, il Ciliegiolo 2006 della Fattoria La Busattina di San Martino sul Fiora in provincia di Grosseto, il Colline Lucchesi Palistorti Doc 2006 e il ‘cugino’ Tenuta di Valgiano, dalla personalità elegante, espressione top di un territorio che (in generale) non è altrettanto fortunato. Eppoi un vino dolce: il Bucchero 2005 ottenuto da ciliegiolo in purezza dalla Fattoria il Duchesco di Alberese.Massimo Pilo#
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